Il professor Simone Casini ha da poco concluso un progetto didattico con i suoi studenti di italiano della University of Toronto Mississauga. In questa intervista racconta come ha lavorato.
Con i tuoi studenti canadesi di italiano avete commentato su Betwyll Io non ho paura di Niccolò Ammaniti. Su quale aspetto del testo vi siete concentrati?
Ho usato la app Betwyll in un corso di sociolinguistica, per cui ho scelto di concentrarmi maggiormente sugli aspetti grammaticali e linguistici del testo (di cui sulla app erano pubblicati brevi riassunti per capitolo, ndr). Ho scelto il libro di Ammaniti per due ragioni: si tratta di un autore contemporaneo, quindi l’uso che fa della lingua – sebbene letterario – è vivo e legato all’attualità. Inoltre, molti dei miei studenti conoscevano già questo libro: avendone già assimilato il contenuto, ho potuto farli concentrare soprattutto sulla lingua.
Quanto ha influito la dimensione social del lavoro?
La dimensione social è stata uno dei punti di forza più significativi del progetto. Gli studenti hanno beneficiato di Betwyll perché ha stimolato un loro maggiore coinvolgimento, soprattutto nei lavori in gruppo o con il docente, che sono i due metodi che di solito impiego in classe. Betwyll si è rivelato un elemento che, aggiunto agli altri del corso, lo ha reso nella sua interezza ancora più collaborativo, partecipato e inclusivo rispetto a corsi che adottano una didattica più tradizionale.
Credi che l’utilizzo di uno strumento digitale come Betwyll abbia una valenza pedagogica?
Credo proprio di sì, perché Betwyll parla lo stesso linguaggio che parlano gli studenti. Di conseguenza, da un lato è accattivante per gli studenti, dall’altro incentiva la loro creatività. Nel mio caso, per esempio, dopo avere usato delle emoticon nei loro twyll gli studenti hanno riflettuto sulle emoticon stesse in altri twyll, in una sorta di uso metalinguistico di Betwyll che ha incentivato l’uso della lingua. In sostanza, il fine del processo didattico è uguale sia che si scelga il digitale o una didattica più tradizionale; diverso è il percorso. E siccome il nostro obiettivo come docenti è anche andare incontro alle esigenze degli studenti, Betwyll – parlando il loro stesso linguaggio – si rivela più attrattivo.
Come avete svolto il lavoro in classe con Betwyll?
In ognuna delle classi in cui ho usato Betwyll, ho diviso gli studenti in gruppi e assegnato tre diversi esercizi. Nel primo, ogni gruppo doveva riscrivere un determinato capitolo in tre riassunti di lunghezza variabile e sempre più breve. Nel secondo, strutturato come una competizione tra gruppi, scrivevo alla lavagna le principali informazioni del capitolo e ogni studente doveva scrivere un twyll includendone il maggior numero. Nel terzo, ho chiesto loro di dare un seguito al piano narrativo dei capitoli letti (i primi 6-7) con i loro twyll.
Periodicamente appaiono classifiche delle lingue europee studiate all’estero. Come abbiamo discusso a Toronto in occasione della Settimana della Lingua italiana nel mondo, atenei e docenti si interrogano sulle strategie di insegnamento. L’uso del digitale potrebbe attrarre potenziali studenti stranieri di italiano?
Sì e no: non credo che il mezzo sia artefice del prodotto. Non credo che il libro sia migliore del digitale, o viceversa, anche se a volte sembra che il libro stampato sia fondamentale e Internet scadente, oppure che vada bene solo il digitale e il vecchio manuale cartaceo invece debba morire. Credo che l’utilizzo di app, nuove tecnologie e media sia fondamentale per intercettare nuove generazioni verso lo studio della lingua e verso la cultura italiana, in un modo che va oltre la conoscenza dei classici di letteratura e arte. Il problema è costruire uno strumento che, sebbene digitale, non sia limitato a esercizietti banali. La ludolinguistica ha enormi potenzialità, ma deve avere un impianto pedagogico importante per raggiungere i propri obiettivi.
Che cosa miglioreresti di Betwyll?
Credo molto in un progetto come Betwyll. Per migliorare, dovrebbe cercare di venire incontro maggiormente alle esigenze dell’insegnante, consentendogli maggiore libertà ed elasticità nella creazione e gestione del proprio progetto didattico
Simone Casini
Assistant professor
Dal 2017 è Assistant Professor nel Dipartimento di Studi Linguistici della University of Toronto Mississauga. Nel 2012 ha conseguito il Dottorato di ricerca all’Università per Stranieri di Siena con la tesi “Creatività e superdiversità linguistica” e dal 2012 al 2017 è stato professore di Linguistica e Semiotica alle Università per Stranieri di Siena e Università degli Studi della Tuscia (Viterbo), oltre ad avere svolto un post-dottorato presso l’Università per Stranieri di Siena. Ha partecipato a numerosi progetti di ricerca in gruppo. Tra i suoi interessi di ricerca: semiotica; insegnamento, apprendimento e acquisizione della seconda lingua; linguistica applicata; sociolinguistica; plurilinguismo/multilinguismo.